giovedì 13 settembre 2012

La sedia sfida il declino e punta ai nuovi mercati




cav. Rosario Genova

Vice Sindaco - Comune di Manzano

 La sedia sfida il declino
e punta ai nuovi mercati

Il Manzanese. Dal boom e dalla ricchezza degli anni 70 alla delocalizzazione e al tramonto. Il presidente dell’Asdi: chi aveva puntato sulla qualità è riuscito a resistere


Manzano, 11 settembre 2012

Implacabile come un castigo draconiano, la crisi si è abbattuta sul Distretto della sedia più che altrove. Lo ha sfregiato, lasciando profonde cicatrici. Ha eroso ricchezza e imprenditorialità. Ha disintegrato illusioni. Ha posto la parola fine all’economia “fai da te”. Ma non ha ucciso una realtà che sta dando importanti segnali di ripresa. Di certo, ha scremato le aziende, lasciando indenni quelle che hanno sempre scommesso sul nuovo e che hanno capito quello che stava accadendo.
I segnali non visti. Sì, c’erano, nel Manzanese, anche un’eccessiva spensieratezza, una certa ostilità al cambiamento e una sorta di cecità di fronte all’incipiente tsunami economico mondiale che avrebbe tramortito in pochi anni l’America friulana con una serie ininterrotta di colpi mortiferi. Detto con le parole del presidente dell’Asdi, Giusto Maurig: «L’errore di tanti, di troppi è stato probabilmente quello di non avere compreso per tempo le accelerazioni del mercato e le sue imprevedibili evoluzioni».Di essersi cullati su una ricchezza che pareva immortale e invincibile.
Il distretto scopre la crisi. Il Distretto ha improvvisamente scoperto la parola crisi: la concorrenza del Nord Europa, il tonfo dell’export, l’irruzione dei Paesi dell’Est sempre più competitivi e sempre meno disposti a vedersi acquistare boschi e a delegare la lavorazione del legno. L’irruzione della Cina. Il Manzanese comincia a tremare. E le aziende che hanno puntato soltanto sulla quantità e la produttività prima patiscono, arrancano, boccheggiano, poi, inevitabilmente gettano la spugna. Fine di un sogno. Il mondo è cambiato e la sedia, perlomeno quella “normale”, non è e non sarà più un retaggio principalmente friulano.
Il dramma delle insolvenze. La crisi spazza aziende, sgretola imprese, distrugge imprenditori. Oggi, nel territorio dell’Asdi i capannoni chiusi sono decine e decine. Gli occupati dai 15 mila del boom degli anni Settanta sono circa 6 mila; delle 1.100 aziende quelle davvero operative sono circa 700 perché molte, che pure figurano iscritte alla Cciaa, o stanno chiudendo i battenti oppure si trovano in liquidazione; la banche non sono più le “amiche” degli imprenditori, ma lo spauracchio per quelli che hanno bisogno di crediti, di anticipi o di mutui. Il problema delle insolvenze è un macigno. «Sì, è proprio così – dichiara un bancario che chiede l’anonimato –, ma purtroppo le regole sono queste e noi siamo costretti a farle rispettare proprio a chi per anni ci ha fatti ricchi».
La corsa a ostacoli. «Chi ha voluto rimanere sul mercato – sono ancora le parole del presidente dell’Asdi, Maurig – ha impegnato tutto quello che possedeva. Conosco decine e decine di imprenditori che hanno ottenuto crediti impegnando tutti i beni personali. E questo significa che ci credono, che hanno fame di futuro, che sono convinti che il peggio sia ormai alle spalle. Ma il vero problema non è la competitività delle nostre aziende, ma il sistema Italia nel suo complesso. Non possiamo, soprattutto in tempi di grave crisi come l’attuale, mortificare l’imprenditoria, ponendo ostacoli su ostacoli che vanno dai costi dell’energia, alle pastoie burocratiche alle difficoltà di accesso al credito ai costi dei carburanti».
Puntare sui prodotti di nicchia. Parole sacrosante, verrebbe da dire. Ma è anche vero che la crisi ha fatto più male a chi non l’ha saputa prevenire o affrontarla nei termini giusti. Chi non si è innovato. Dice ancora il presidente dell’Asdi: «Il mondo è cambiato; noi siamo cambiati. Oggi qui non parliamo più di sedia, ma di legno e della sua filiera che va dal tronco, all’essiccazione, alla segheria e giù, giù fino al prodotto finito. Non dobbiamo fermarci alla sedia, ma puntare a prodotti di nicchia. E questo significa imboccare la strada della qualità, l’unica via che ci mette al riparo da ulteriori rischi di recessione». E qualità è diventata per l’Asdi la parola d’ordine, il verbo, l’imperativo categorico per uscire da un tunnel che ancora non fa intravedere la piena luce («la moria di altre aziende – dichiara un po’ sconsolato Maurig – è inevitabile perché la crisi ha creato una scrematura e soltanto i migliori sono rimasti sul mercato»).
L’Asdi e la qualità. L’Asdi, nella cui mission ci sono – tra gli altri obiettivi – l’aumento della capacità di innovazione e di aggregazione delle imprese, l’aggregazione delle medesime e la promozione della cultura del Distretto – nell’ottica di uno sviluppo complessivo del Distretto attraverso la valorizzazione delle realtà produttive della filiera, ha voluto il progetto “Filiera Iso 9001”. L’obiettivo dell’iniziativa è di accompagnare le imprese del Distretto appartenenti alla filiera della sedia attraverso un percorso formativo e migliorativo che porta alla certificazione Iso 9001 dell’Asdi Sedia e delle aziende che aderiscono al progetto. Eccola la più importante sfida per “stare” sui nuovi mercati. La ricetta in più per non farsi spaventare da delocalizzazione, innovazione, competitività. E proprio la delocalizzazione per il Distretto è un dèjà vu.
La delocalizzazione. Nel 1878 da Mariano del Friuli, al tempo ancora austriaco, erano giunti nel Manzanese i fratelli Zaneto e Toni Fornasarig, che, per continuare a vendere e aggirare il dazio di confine, avevano aperto la prima fabbrica di sedie ad Oleis, spalancando il magico portone su una realtà che negli anni ’70-’80 aveva fatto dell’iniziale Triangolo della sedia (San Giovanni al Natisone, Manzano e Corno di Rosazzo) una delle zone più ricche e laboriose d’Italia se non dell’Europa.
Gli anni del boom. Altri tempi quando il Manzanese – che diventa prima Distretto industriale della sedia e poi Agenzia per lo sviluppo del Distretto industriale (Asdi) – pareva il paese di Bengodi dove sfrecciavano Ferrari e Porsche e l’alacrità delle persone gonfiava i depositi bancari. Eccoli, gli anni del boom della sedia e della sua filiera: dal bosco, al tronco, alla fabbrica, al prodotto finito. Anni d’oro con oltre 15 mila occupati in un’area, quell’Asdi, che annovera 11 Comuni su 223 chilometri quadrati e circa 37 mila residenti. La sedia era vita: c’erano lavoro, occupazione, sacrifici, quotidianità. Soldi. C’erano circa 1.100 aziende. E il benessere era capillare.
di Domenico Pecile
Sito web :  www.rosariogenova.it

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