giovedì 31 gennaio 2013

Termovalorizzatore, era tutto regolare

cav. Rosario Genova

Vice Sindaco - Comune di Manzano
Termovalorizzatore, era tutto regolare
Manzano, assolti l’imprenditore Roberto Lovato e gli altri imputati. Il Comune aveva chiesto un risarcimento di 15 milioni

Manzano, 29 gennaio 2013
 
L’attività svolta nell’ambito del termovalorizzatore di Manzinello non ha mai presentato elementi di illegittimità. A dodici anni dall’inizio delle battaglie sostenute da Legambiente per dimostrare presunte irregolarità nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti nell’inceneritore manzanese e a due dall’inizio del processo penale, il tribunale di Udine ha chiuso la vicenda, pronunciando sentenza di assoluzione piena nei confronti di tutti e tre gli imputati e per ciascuna delle ipotesi di reato contestate dalla Procura. Comprese quelle ormai prescritte. «Perchè il fatto non sussite» la formula decisa dal giudice monocratico Francesca Feruglio sia per Bruno Miotti, 66 anni, ex sindaco di Magnano in Riviera, dove risiede, ed ex dirigente del Servizio tutela ambientale della Provincia di Udine, chiamato a rispondere di concorso in gestione non autorizzata di rifiuti, sia per Roberto Lovato, 68 anni, di San Giovanni al Natisone, coinvolto in qualità di presidente del Cda della Nuova Romano Bolzicco, e per Walter Cozzi, 51, di Trieste, responsabile della gestione dell’impianto, accusati - oltre che della suddetta contravvenzione - anche di reati ambientali, tra cui il traffico illecito di rifiuti. Nelle conclusioni, il pm Claudia Finocchiaro aveva chiesto il non doversi procedere per sopraggiunta prescrizione per i capi relativi alla gestione non autorizzata e l’assoluzione per le ipotesi più gravi, per assenza della prova dell’ingente quantità di rifiuti trattati e del profitto tratto dall’operazione. Nel procedimento, Legambiente regionale si era costituita parte civile con l’avvocato Daniela Moreale e il Comune di Manzano con l’avvocato Gina Mauro: nella quantificazione dei danni, i primi avevano chiesto una cifra simbolica di 10 mila euro, mentre l’amministrazione aveva concluso per un risarcimento pari a 15 milioni 576.599 euro. Condotta dai carabinieri del Noe, dalla Guardia di Finanza e dal Corpo forestale, l’inchiesta era stata inizialmente coordinata dal pm Luigi Leghissa ed ereditata, dopo il suo trasferimento a Gorizia, dalla collega Finocchiaro. La tesi accusatoria partiva dalla «macroscopica illegittimità» dell’autorizzazione con la quale, nel 1998, la Provincia aveva dato il via alla costruzione dell’impianto di termodistruzione e si articolava poi in una serie di altre presunte irregolarità sulla tipologia di rifiuti trattati. Tra le contestazioni, il fatto di avere permesso l’incenerimento di rifiuti non pericolosi, propri e di terzi, il mancato rispetto della distanza minima dell’impianto da zona abitata (530 metri a fronte del chilometro previsto), lo smaltimento “in conto proprio” di rifiuti prodotti anche «da una pluralità di società diverse, in parte riconducibili a Lovato o alla sua famiglia». Tutte ipotesi venute ora a cadere, a conferma delle argomentazioni portate in dibattimento dai difensori, avvocati Danilo Della Rosa (per Miotti) e Paolo Persello (per Lovato e Cozzi).

«Un’inutile battaglia durata dodici anni»
Legambiente

Ci aveva creduto e investito tempo ed energie, riuscendo a trovare prima il sostegno di molti cittadini e, poi, anche l’attenzione della Procura. E quando, nell’aprile del 2010, il procedimento ha varcato la soglia dell’udienza preliminare, non ha mancato una sola “chiamata” a dibattimento. Ecco perchè, ieri, l’espressione dipinta sul volto di Marino Visentini, presidente storico del Circolo Legambiente di Udine, era quella di un “combattente” incapace di credere ai propri occhi. «C’è tanta amarezza - ha detto, subito dopo la lettura del dispositivo -. Seguo questa vicenda dal 2001, quando insieme ad alcuni abitanti di Manzano presentammo le nostre perplessità al sindaco e, nei mesi a seguire, chiedemmo le prime verifiche a Comune, Provincia e Arpa». Era soltanto l’inizio. Dalle proteste, Legambiente passò ben presto agli esposti (in settembre quello in Procura) e continuò a suon di incontri pubblici e manifestazioni. Fino al sequestro penale dell’impianto, nel 2006 (i sigilli furono tolti nel maggio del 2007). «Autorizzato per bruciare scarti di legno - ricorda Visentini -, l’impianto fu in realtà usato per una smaltire anche materiali plastici e vernici. Fu l’Arpa di Venezia ad accertare gli sforamenti di diossina che portarono al sequestro della struttura». Eppure, l’epilogo di ieri ha scardinato l’intero impianto accusatorio. Visentini scuote la testa. «Non so più che dire - conclude -, fuorchè ricordare tutti coloro che hanno lavorato a questa indagine e all’enorme spreco di denaro, tempo ed energie». (l.d.f.)





Nessun commento:

Posta un commento