Termovalorizzatore, era tutto regolare
Manzano, assolti l’imprenditore Roberto Lovato
e gli altri imputati. Il Comune aveva chiesto un risarcimento di 15 milioni
Manzano, 29 gennaio 2013
L’attività svolta nell’ambito del termovalorizzatore di
Manzinello non ha mai presentato elementi di illegittimità. A dodici anni
dall’inizio delle battaglie sostenute da Legambiente per dimostrare
presunte irregolarità nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti
nell’inceneritore manzanese e a due dall’inizio del processo penale, il
tribunale di Udine ha chiuso la vicenda, pronunciando sentenza di
assoluzione piena nei confronti di tutti e tre gli imputati e per ciascuna
delle ipotesi di reato contestate dalla Procura. Comprese quelle ormai
prescritte. «Perchè il fatto non sussite» la formula decisa dal giudice
monocratico Francesca Feruglio sia per Bruno Miotti, 66 anni, ex sindaco di
Magnano in Riviera, dove risiede, ed ex dirigente del Servizio tutela
ambientale della Provincia di Udine, chiamato a rispondere di concorso in
gestione non autorizzata di rifiuti, sia per Roberto Lovato, 68 anni, di
San Giovanni al Natisone, coinvolto in qualità di presidente del Cda della
Nuova Romano Bolzicco, e per Walter Cozzi, 51, di Trieste, responsabile
della gestione dell’impianto, accusati - oltre che della suddetta
contravvenzione - anche di reati ambientali, tra cui il traffico illecito
di rifiuti. Nelle conclusioni, il pm Claudia Finocchiaro aveva chiesto il
non doversi procedere per sopraggiunta prescrizione per i capi relativi
alla gestione non autorizzata e l’assoluzione per le ipotesi più gravi, per
assenza della prova dell’ingente quantità di rifiuti trattati e del
profitto tratto dall’operazione. Nel procedimento, Legambiente regionale si
era costituita parte civile con l’avvocato Daniela Moreale e il Comune di
Manzano con l’avvocato Gina Mauro: nella quantificazione dei danni, i primi
avevano chiesto una cifra simbolica di 10 mila euro, mentre
l’amministrazione aveva concluso per un risarcimento pari a 15 milioni
576.599 euro. Condotta dai carabinieri del Noe, dalla Guardia di Finanza e
dal Corpo forestale, l’inchiesta era stata inizialmente coordinata dal pm
Luigi Leghissa ed ereditata, dopo il suo trasferimento a Gorizia, dalla
collega Finocchiaro. La tesi accusatoria partiva dalla «macroscopica
illegittimità» dell’autorizzazione con la quale, nel 1998, la Provincia aveva dato
il via alla costruzione dell’impianto di termodistruzione e si articolava
poi in una serie di altre presunte irregolarità sulla tipologia di rifiuti
trattati. Tra le contestazioni, il fatto di avere permesso l’incenerimento
di rifiuti non pericolosi, propri e di terzi, il mancato rispetto della
distanza minima dell’impianto da zona abitata (530 metri a fronte
del chilometro previsto), lo smaltimento “in conto proprio” di rifiuti
prodotti anche «da una pluralità di società diverse, in parte riconducibili
a Lovato o alla sua famiglia». Tutte ipotesi venute ora a cadere, a
conferma delle argomentazioni portate in dibattimento dai difensori,
avvocati Danilo Della Rosa (per Miotti) e Paolo Persello (per Lovato e
Cozzi).
«Un’inutile battaglia durata dodici
anni»
Legambiente
Ci aveva creduto e investito
tempo ed energie, riuscendo a trovare prima il sostegno di molti cittadini
e, poi, anche l’attenzione della Procura. E quando, nell’aprile del 2010,
il procedimento ha varcato la soglia dell’udienza preliminare, non ha
mancato una sola “chiamata” a dibattimento. Ecco perchè, ieri,
l’espressione dipinta sul volto di Marino Visentini, presidente storico del
Circolo Legambiente di Udine, era quella di un “combattente” incapace di
credere ai propri occhi. «C’è tanta amarezza - ha detto, subito dopo la
lettura del dispositivo -. Seguo questa vicenda dal 2001, quando insieme ad
alcuni abitanti di Manzano presentammo le nostre perplessità al sindaco e,
nei mesi a seguire, chiedemmo le prime verifiche a Comune, Provincia e
Arpa». Era soltanto l’inizio. Dalle proteste, Legambiente passò ben presto
agli esposti (in settembre quello in Procura) e continuò a suon di incontri
pubblici e manifestazioni. Fino al sequestro penale dell’impianto, nel 2006
(i sigilli furono tolti nel maggio del 2007). «Autorizzato per bruciare
scarti di legno - ricorda Visentini -, l’impianto fu in realtà usato per
una smaltire anche materiali plastici e vernici. Fu l’Arpa di Venezia ad
accertare gli sforamenti di diossina che portarono al sequestro della
struttura». Eppure, l’epilogo di ieri ha scardinato l’intero impianto
accusatorio. Visentini scuote la testa. «Non so più che dire - conclude -,
fuorchè ricordare tutti coloro che hanno lavorato a questa indagine e
all’enorme spreco di denaro, tempo ed energie». (l.d.f.)
|
Nessun commento:
Posta un commento